Graziella Pulce su "alfabeta 2", nov.-dic. 2013

Graziella Pulce su ”Cos'è 'poesia'", "alfabeta 2", novembre-dicembre 2013, numero 33 sul Gruppo 63


Cosa hanno in comune Konrad Lorenz, Rita Levi-Montalcini e Budda? Tutti e tre hanno sostenuto con maggiore o minore insistenza che l’essere umano deve imparare a controllare le proprie emozioni, perché la sudditanza all’ira o all’odio rende ancora più difficile la liberazione dall’ignoranza, causa prima dei mali che affliggono l’umanità. Giulia Niccolai accosta questi tre personaggi in una lettera indirizzata a Maria Nadotti e raccolta in Cos’è ‘poesia’ (pubblicato dalle “edizioni del verri” e dedicato a Giovanni Anceschi e Milli Graffi), insieme ad altri scritti di memoria e riflessione. Nonostante il titolo perentorio, la mano dell’autrice risulta guidata solo dal bisogno di portare al livello di consapevolezza le radici di pensieri, gesti, desideri, che scattano automaticamente in quello che Giulia Niccolai chiama «il nostro Ego battagliero», e che assume i tratti di un coagulo di istinto, volizione, razionalità. Proprio il bisogno di chiarezza ha spinto e spinge l’autrice da un lato a un esercizio di meditazione ininterrotto, dall’altro alla scrittura, alla condivisione pubblica di quello che non può essere un processo concluso ma attività per definizione laboratoriale che si esprime solo per avvicinamenti progressivi. Anche la sua opera d’esordio, il romanzo feltrinelliano Il grande angolo (1965), rispondeva a un’urgenza analoga. Quale sia poi il fondo roccioso oggetto di meditazione e poesia si intuisce per suggerimenti obliqui dell’autrice stessa, anche se la buona educazione e un innato umorismo vietano ogni ipotesi di confessione.
Non so se nove come i proverbiali gatti, ma di certo Giulia Niccolai ha una molteplicità di vite e una formidabile capacità di rigenerarsi. Alla originaria passione per la fotografia ha accostato il lavoro letterario, della scrittura e della poesia, e poi la meditazione: dall’85 è nata una Giulia ulteriore, quella buddista, che contempla la vacuità del mondo e la necessità di compassione. Rispetto al Gruppo 63, cui si era avvicinata inizialmente in occasione di un servizio fotografico, ha mantenuto una certa distanza di sicurezza, non condividendone alcuni assunti di massima, ritrovandosi tuttavia conquistata dalla volontà programmatica di sperimentare forme nuove e punti di vista eccentrici. L’incontro con Adriano Spatola e il lavoro con gli amici di Mulino di Bazzano dal ’70 al ’79 hanno potenziato la sua energia e la sua gioia di fare poesia sperimentale e condivisa con altri all’insegna dell’ironia e del gioco. Lewis Carroll e Gertrude Stein sono spesso invocati quali numi tutelari della sua opera cui riconducono due direttrici significative: l’esperienza del mondo come linguaggio e come superficie, percorribile al dritto e soprattutto al rovescio, trafiggibile, ritagliabile e duplicabile; e lo sguardo straniero, cosmopolita, di un io che ha le radici lontane e che si lascia trasformare dal cammino.
L’unica definizione che emerge dalla raccolta è che ‘poesia deve essere anche rivelazione’, e dunque accadimento puntuale, che si verifica in un momento dato e non una volta per tutte. La rivelazione avvenuta nel tempio giapponese delle trentatré colonne è pura folgorazione zen e pura poesia. Il poeta, come il fotografo e come colui che progetta un edificio, riesce a far percepire all’occhio fisico l’immagine colta nel barbaglio della rivelazione. Solo 35 colonne di marmo consentono di dare forma visibile alle 33 colonne di vuoto. Il fotografo tuffando le mani e la pellicola nel buio della camera oscura, come pure il poeta accettando l’immersione nelle bassure del corpo e della mente, strappano all’indistinto un frammento dotato di un senso assoluto di bellezza. Una rivelazione che deve essere conquistata. Come quel mare color del vino che da reminiscenza omerica si fa, per lei a metà degli anni Novanta, vera acqua violacea, nel mar Egeo, davanti all’isola di Rodi.


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